CARCERE: PROTESTE ANCHE A BALDENICH

vedi l’articolo del corriere degli alpini del 26/5/11 cliccaqui

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Carcere- Sulla mobilitazione in atto nelle carceri italiane

fonte: bello come una prigione che brucia [trasmissione di Radio Blackout]

“È opportuno ricordare che questa notte hanno dormito nelle nostre carceri più di 67 mila detenuti con un significativo incremento di stranieri. Stiamo cioè gestendo il più alto numero di detenuti della storia repubblicana e lo stiamo facendo grazie allo sforzo e alla dedizione al dovere di ciascuno di voi. Stiamo gestendo un così alto numero di detenuti per due motivi: perché funziona meglio il sistema di sicurezza e repressione dello Stato nei confronti della piccola e della grande criminalità e perché non abbiamo fatto amnistie o indulti. È giusto che tutti abbiano coscienza che il sistema penitenziario è il punto di approdo sia del sistema di sicurezza che del sistema processuale e penale del nostro Paese”.

Ministro Angelino Alfano nel corso del 194° compleanno della Pol.pen.

 

Da domenica scorsa, 15 maggio 2011, si è innescata a partire dal carcere romano di Regina Coeli, una protesta contro le condizioni detentive a cui sono sottoposte le persone segregate dall’apparato carcerario italiano. La mobilitazione, come si sperava, si è rapidamente diffusa a molte altre città.
Un lotta caratterizzata nella sua attuazione da sciopero della fame, battiture, blocco degli acquisti allo spaccio carcerario, nonché dal blocco di tutte le funzioni svolte dai detenuti lavoranti (e quindi mansioni di pulizia, cucina, raccolta domande per la spesa, ecc.). La particolarità di questa iniziativa, rispetto agli altri sporadici focolai di rivolta contro le condizioni detentive, deriva principalmente dalle richieste: nessun interesse rivolto a specifici miglioramenti nel carcere in cui sono rinchiusi i promotori (Regina Coeli), bensì un vero e proprio “piano carceri” alternativo a quello del governo. E se appunto quello partorito dal ministro Alfano e dai suoi collaboratori si concentra prioritariamente sull’ampliamento degli spazi detentivi, e quindi su interventi di edilizia volti ad aumentare il numero di posti-gabbia da riempire (e a come spartire gli oltre 600 milioni di euro stanziati), quello proposto dai detenuti di Regina Coeli, e sostenuto dalla protesta che si è estesa a diverse carceri, si basa all’opposto su un’urgente deflazione del numero delle persone recluse attraverso la richiesta di un’amnistia (esclusi reati di pedofilia e stupro), la richiesta di un minor ricorso dell’apparato giudiziario-repressivo alla custodia cautelare, misure alternative e tutta una serie di proposte concrete volte a riportare l’apparato carcerario italiano alla mera legalità… Impossibile non notare quanto sia paradossale che la richiesta di un carcere legale e costituzionale arrivi dai detenuti e non dalle istituzioni. Forse perché i detenuti si accorgono sulla propria pelle del fatto che, se si provano a pressare circa 68.000 detenuti in gabbie progettate per contenerne 45.000, più che una condizione di illegalità si concretizza una condizione di tortura. Da notare, a rigor di cronaca, come la “costituzionalità dell’esecuzione della pena” sia stata l’istanza primaria di tutte le recenti ondate di protesta scatenatesi nelle carceri elleniche.

Sarebbe inoltre difficile immaginare che una concreta lotta contro l’esistenza del carcere, e non contro suoi aspetti parziali, scaturisca esclusivamente dall’interno di questi luoghi: se da un lato l’apparato detentivo è un pilastro delle democrazie autoritarie, dall’altro  il suo abbattimento non può prescindere da conquiste su altri fronti come sistema produttivo, scolastico, concentrazione delle ricchezze e via dicendo.

I detenuti di molte carceri italiane stanno lottando per un parziale svuotamento dell’apparato detentivo, mentre il ministero e il DAP, che osservano le cifre a debita distanza, possono tranquillamente alzare e correggere le soglie di tollerabilità, e quindi progettare come contenere e concentrare sempre di più il disagio socio-economico e tutte le eccedenze umane ridotte a “questione di criminalità”, in questi spazi che rappresentano la progressiva sostituzione dello “stato sociale” con le “discariche sociali”.
Si tratta evidentemente di proposte che pur non rimandando a intenti di particolare radicalità o sperimentalità, e rimanendo anzi all’interno degli strumenti già adottati in passato dallo Stato italiano, si scontreranno sicuramente con gli imperativi securitari e la propaganda della Paura che restano gli ultimi leganti di questo governo.

Passiamo ad osservare come si sta diffondendo questo momento di lotta nelle carceri italiane.
Ovviamente le informazioni alle quali possiamo attingere sono molto limitate sia a causa delle fonti (visto che si tratta di fonti indirette come cronache locali o veline della polizia penitenziaria), sia per la censura quasi totale operata dagli organi di informazione di regime.

Il primo aggiornamento arriva proprio dal carcere da cui è partita la mobilitazione, e quindi Regina Coeli a Roma, dove si stanno maggiormente concentrando le mediazioni istituzionali: quelle operate dal garante dei detenuti del Lazio, Angelo Marroni, insieme alle concertazioni con gli esponenti del partito Radicale, che hanno portato, in questo carcere, all’interruzione dello sciopero della fame dopo 3 giorni, mentre continuano le altre forme di protesta (quindi battiture, blocco del lavoro e degli acquisti).
Come sempre, quando scatta una mobilitazione nelle carceri, repentinamente si manifestano le operazioni politiche di partiti, associazioni o figure istituzionali di vario genere.
Scontato è che, nella quasi totalità dei casi, si tratta di interventi finalizzati a controllare le lotte, dettarne i tempi, i metodi, e quindi di fatto anteporre la propria visibilità e il proprio ritorno politico e di immagine, alle potenzialità e alle richieste delle lotte dei detenuti. Dall’altra sponda, molto spesso i reclusi, una volta raggiunta l’attenzione di figure in grado di amplificarne le richieste, sono disposti a cedere le redini e la conduzione della mobilitazione. Di fatto, a Regina Coeli, quello che era partito nelle dichiarazioni come uno sciopero della fame “a oltranza”, si è interrotto dopo 3 giorni, quando il Garante dei detenuti ha annunciato che avrebbe consegnato il documento della protesta dei detenuti a diversi esponenti dello Stato.

La notizia positiva è invece che, in molte altre carceri italiane a cui l’annuncio della mobilitazione è giunto senza mediazioni para-istituzionali, la lotta continua ad estendersi, almeno per ora in modo autonomo. Oltre ai detenuti, anche centinaia di loro parenti e familiari stanno intraprendendo lo sciopero della fame.

In sintesi:

Sciopero della fame, del lavoro e battiture a Rieti, Fuorni, Poggioreale, Catania Piazza Lanza, Sassari San Sebastiano, Agrigento, Cagliari Buon Cammino, Vercelli, Velletri, di Opera e San Vittore a Milano, Imperia, Ancona, Prato, Ariano Irpino, Venezia, Alessandria, Lanciano e Marassi.
E probabilmente altri di cui non abbiamo notizia.

A Verona invece dello sciopero della fame, oltre alle battiture, i detenuti hanno iniziato dalla scorsa settimana a dare fuoco a lenzuola e bombolette del gas.

In questa conta non rientrano per esempio le battiture di Bolzano, iniziate qualche giorno prima rispetto al 15 maggio, ma in ogni caso, anche nei limiti di quel che ci è dato per ora conoscere, è una mobilitazione che ha penetrato e contagiato gli spazi detentivi di diverse città.

Insomma, sembrerebbero essere almeno una ventina le carceri contemporaneamente coinvolte da questa ondata di protesta. Nei prossimi giorni potremo osservare quali delle forze in campo avrà la meglio; e quindi se la cappa di cemento della censura di regime riuscirà a silenziare e far rientrare questa protesta, se partiti-partitini e mediatori vari riusciranno a rendere vani gli sforzi e la volontà dei detenuti in lotta, o se invece la pressione dentro, e auspicabilmente anche fuori le carceri, darà qualche forma di risultato.
Poi c’è il caldo estivo che incombe come minaccia ulteriore alla già compromessa possibilità di sopportare la privazione della libertà e i modi in cui viene somministrata. E il calore, come ogni estate, potrebbe aumentare la pressione.