PRIGIONIERI DENTRO E FUORI
“Qui dentro questi muri, le acque sono torbide
succedono cose allucinanti e disumane.
E’ una discarica di corpi.
Dove si muore.”
Chiunquelidentro
Il carcere è un inferno e quello di Belluno non è da meno.
A Baldenich il 26 settembre è morto Mirco, pochi giorni dopo Simone ha rischiato di morire per un coma farmacologico. Prima ancora un ragazzo ha ingoiato un tagliaunghie e un altro ancora si è cucito la bocca in segno di protesta per la vita allucinante che si conduce la dentro. In certe situazioni resta solo il proprio corpo per “fare qualcosa” contro una vita allucinante, una non vita!
In carcere si vive in 6 in celle di 4 metri quadri, il cesso è di un metro per mezzo in cui, tra le feci, ci si lavano anche le stoviglie. Si viene imbottiti di psicofarmaci, cosi non si rompe i coglioni a chi ci “lavora” dentro. Le botte dalle guardie sono ordinarie e ben assestate: dolore e niente lividi, tranne quando scappa la mano (come è successo a Stefano Cucchi…). Fateci caso: quando muore un detenuto di solito la versione ufficiale è il “suicidio” o qualche “malessere”, l’autopsia viene eseguita frettolosamente, i parenti avvertiti ore dopo, le onnipresenti telecamere stranamente non hanno registrato niente… e magari tutto questo succede a un ragazzo a cui mancano pochi mesi per uscire, come Mirco.
Ma cosa abbiamo in comune noi qui fuori con chi è chiuso li dentro? Sicuramente la possibilità di finirci, prima o poi: il carcere è li come monito concreto contro chi si permette di “deviare”. Due terzi dei detenuti/e sono reclusi per reati aventi connotazioni fondamentalmente sociali (furti, spaccio o consumo, immigrazione). Dentro si finisce con poco, per una canna, perché non hai un pezzo di carta con su scritto “cittadino italiano”, perché “smatti” quando non ce la fai più o magari per una manifestazione: a mano a mano che la miseria si allarga, sempre più reati vengono inscritti nei codici penali e nuove gabbie sono pronte ad accoglierci…
Capita anche che quando meno te lo aspetti ti trovi in balia “tutori dell’ordine”: come è successo a Stefano Frapporti, fermato un pomeriggio dai carabinieri tornando dal lavoro in bicicletta, morto in carcere la mattina dopo! O come è successo a Federico Aldrovandi e succede a tutti quelli che si trovano soli di fronte al potere in carcere e fuori.
Forse questo è il problema: essere “soli/e”. Sopruso dopo sopruso siamo abituati al peggio: alla paranoia securitaria, alle telecamere, ai posti di blocco, all’autorità e all’ordine, ai militari che fanno conferenze agli studenti, alla polizia coi cani antidroga a scuola, ad essere fermati dagli sbirri in ogni momento, ad un controllo sempre più invasivo, ad un potere sempre più “protettivo”, ai nostri volti riflessi su vetrine luccicanti, alla guerra.
MAGARI PARTE DELLA SOLUZIONE STA NELL’ESSERE MENO SOLI NELLA VITA QUOTIDIANA: SCOPRIRE SOLIDARIETÀ MAI IMMAGINATE, RITROVARSI AD INVENTARE MODI PER DIFENDERCI ASSIEME DA UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ CARCERARIA, DALLE SUE LEGGI E DALLE SUE GUARDIE.
FORSE È QUESTO UN MODO PER DARE SOSTANZA AL GRIDO “NOI NON SCORDIAMO MIRCO E TUTTI QUELLI CHE HANNO SUBITO LA SUA SORTE”: PERCHÉ LA SOLIDARIETÀ CON I DETENUTI APRA SQUARCI SULLA REALTÀ CHE OGNUNO DI NOI VIVE, TUTTI I GIORNI, E CI PERMETTA DI CAMBIARLA!
solidali